Una cosa che adoro è asciugarmi i capelli. O meglio, puntarmi il phon dritto sul collo e sentire quel flusso di aria rovente sulla pelle, sentire le goccioline che schizzano ovunque e tornare un momento bambina, come quando era la nonna ad occuparsi di questo noioso servizio. A volte ci sto per un sacco di tempo, molto più del necessario. Tengo il braccio fermo, i muscoli tesi e punto il diffusore dritto verso di me. Magari i capelli sono già asciutti, magari ci vuole ancora un po’. Non ne sono mai certa perchè quello che davvero mi interessa è il tepore, il vento caldo. L’abbraccio.
Quello è il momento in cui la mente vaga, quel vento porta con se miliardi di pensieri come in una tempesta di sabbia, come nel deserto. Non vedo più, non capisco dove mi trovo, non so dire precisamente cosa sia reale, cosa sia immaginario. Cosa sia un ricordo, cosa fantasia. Allora ripercorro momenti, attimi, respiri, mi perdo tra le mille immagini di questo vortice rovente e sento che tutto viene spazzato via e poi riportato a me, come se fossi al centro del ciclone, come se mi trovassi in un cinema, sola, a guardare la proiezione dei miei ricordi più preziosi.
Da un po’ di tempo a questa parte, mentre mi asciugo i capelli tornano alla mia mente alcune immagini precise, quasi come un sogno ricorrente. Qualcosa che è accaduto ma di cui posso soltanto accarezzare le sfumature, le ombre.
Da un po’ di tempo a questa parte, mentre mi asciugo i capelli, insieme alle immagini si pone nella mia mente una domanda tremenda, che prende forma solo perchè ciò che ho davanti a me non trova alcuna spiegazione, allora rifletto me stessa in ciò che vedo, raccolgo quello che mi sembra reale, che sento sulla mia stessa pelle.
Ricordo gli abbracci, quelli intensi, quelli che mi sono rimasti addosso, tutti determinati da uno specifico calore. Torno a quel giorno tremendo, vedo me stessa sola, in mezzo a tantissima gente che cammina, fuggono nella stessa direzione, un’onda di esseri umani si riversa al di là dei cancelli ed anche se si contavano quasi trentamila ragazzi, ricordo di aver visto te. In piedi. A fissarmi. Anche se erano passati mesi e mesi dall’ultima volta che con disprezzo avevo giurato di non fidarmi mai più dei tuoi occhi, li trovai lì a fissarmi, in mezzo a chiunque altro, mentre tutti facevano a meno della mia esistenza, tu mi avevi trovato. Ricordo di esserti corsa incontro perchè ero arrabbiata, perchè erano successe tante cose ingiuste, a me, a te, a tutti gli altri. Ricordo il nostro abbraccio perchè tu mi stringevi forte, il più possibile, per evitare i miei pugni e le mie lacrime. Mi chiedevi scusa, anche se quel giorno non fu colpa tua, non eri l’artefice di nulla di specifico, se non di essere lì davanti a me a lasciarmi soffrire ancora. Mi chiedesti scusa per tutto ciò che era stato prima di quel giorno e per tutto il male ricevuto ingiustamente, perchè eravamo solo dei bambini e questo non era colpa di nessuno.
Poi il vento soffia ancora, si porta via questo dolore, tanto acuto quanto impresso in una memoria passata, in una vita che non sembra nemmeno più appartenermi. La scena cambia. Taglio, nero.
Arriva un altro giorno maledetto. Il giorno della mia liberazione. Il giorno in cui sono cresciuta di più. In cui tutti erano spettatori, un pubblico silenzioso, che assisteva allo strazio della mia partenza, del mio abbandono, della mia libertà. All’abbraccio che non avrei mai desiderato e dal quale volevo fuggire, a quel peso su di me, abbandonato e senza forze, di un’anima distrutta dai propri errori, dal dolore di chi vuole bene nel modo sbagliato. Dalle mani forti di una madre che mi liberò di un grande peso, sapendo che la forza di una ragazza che si alza in piedi e smentisce il silenzio vale più della costernazione di una madre. Ricordo nel profondo del mio cuore il disgusto che provai in quella stretta senza amore, in quel soffocare disperato da cui ancora una volta mi liberai stringendo i denti e affondando le unghie sulla mia vita.
Ma ancora con un brivido misto di inquietudine e disgusto, la scena cambia. Dissolvenza.
Trovo altre braccia intorno al mio corpo, stavolta sento dolore. Qualcosa che brucia, sulla pelle ma anche dentro, sotto. Una sensazione di forte spaesamento, come uno schiaffo, forte, dritto sul viso, ma al buio, senza un mittente. Il baratro tremendo che squarcia uno scenario familiare, che mi lasciò a vagare in un buio spettrale, inaspettato. Un abbraccio che tradiva la più orribile delle emozioni: il rimpianto. Per un gesto avvenuto troppo in fretta, per ciò che è il tradimento della fiducia più profonda, per qualcosa che nei miei occhi da quel giorno non è più andato via: tra tutti, non credevo che saresti stato tu, a lasciare segni sul mio corpo, a togliere dal mio cuore ogni traccia di sicurezza. Tu, per cui sono sempre stata il primo fiore, come hai potuto dimenticare, anche se per un solo istante di follia, cosa stessi stringendo troppo forte. Tu che sei stato fin dall’inizio il mio porto sicuro, come ti sei nascosto dietro questa maschera fino ad ora.
Questo ricordo fa male, troppo male. Brucia come il primo giorno, sento la pelle sfrigolare e allora agito un po’ il braccio, illudendomi che sia il calore elettrico ad incendiarmi. Deglutisco, torno nel mio turbine, il film continua, la scena è cambiata.
Il calore cambia, stavolta allevia. Colpisce ancora una volta il mio viso, ma con gentilezza. Sento con precisione un dolore acuto, ma dolce allo stesso tempo. Si dice che se un albero cade in una foresta vuota, non è certo che sia davvero accaduto. Allora se le tue braccia mi hanno stretta quando nessuno poteva vederci, quando nemmeno io riuscivo a distinguere la tua figura, posso essere certa che sia accaduto davvero? Ricordo precisamente il tempo, infinito, in cui nel silenzio della notte l’unico rumore, impercettibile ed assordante allo stesso tempo, era il mio cuore impazzito, per cui una parola in più o in meno, poteva significare la differenza tra respirare o soffocare. L’attesa insopportabile di una qualche minima reazione. L’angoscia che ciò poteva anche non accadere. Il dubbio di aver precluso qualcosa di incredibilmente bello al mio cuore, per amore di una sincerità viziata dalla sofferenza. Eppure qualcosa indietro tornò. Un abbraccio silenzioso, al buio. Intenso, intimo e duraturo. Un messaggio semplice ma universale: ti tengo, a modo mio, ma ti tengo stretta.
Quanto è dolce ed amara la nostalgia, quanti sorrisi a metà, che oscillano tra la leggerezza di aver agito per il bene, a prescindere da se stessi, e il sapere che la sincerità ferisce più di una bugia bianca, ma ti lascia sopravvivere. Mi mordo il labbro, perchè sorridere ancora è faticoso. Stacco, buio. Una luce rosa.
Questa scena resta davanti ai miei occhi, la guardo riavvolgersi su se stessa, come una pellicola che gira e gira e gira. Vorrei entrarci di nuovo, essere coinvolta come quando ne fui la prima attrice. Ma questo non è possibile, per via dell’esistenza dei ricordi, che trafiggono proteggendoti, come un film dell’orrore, che accende in te un fuoco tremendo senza che tu soffra alcuna bruciatura, un’illusione. Ti vedo nitidamente, nella tua straordinaria fragilità. Credo di non aver mai visto un essere umano così teneramente piccolo, mentre raccogli te stesso in un bozzolo, nella speranza che qualunque cosa ci sia fuori, non potrà più colpirti tanto forte. Eppure, anche se per un solo giorno, vale la pena di diventar farfalla, per quanto terrificante e doloroso, per quanto tu sappia benissimo come finirà questo film, guardarlo è l’unico motivo per lasciare al tuo cuore un altro battito. Vorrei mostrarlo anche a te, stringendoti come faccio, quando posso.Vorrei portarti fuori da questo guscio e fare in modo che il vento ti soffi contro più forte che può, che le onde si infrangano contro il tuo corpo con il desiderio di distruggerti e che tu sia libero di farti del male, pur di vivere, anche solo per un giorno. Sentivo un peso leggero su di me, che avrei potuto sollevare senza problemi, ma una morsa tenace, dettata da una necessità intima e segreta: stringimi. Lo farò, ogni volta che mi sarà possibile, fino a che avrai bisogno di me, ma poi, inevitabilmente, diventerò farfalla per te e giacerò ai tuoi piedi.
Una lacrima, per un finale già scritto, di un film che conosco e che ho ancora voglia di guardare. Cambia scenografia, cambiano le luci.
Questo lo riconosco, perchè è una scena che rivedo spesso. Perchè tu ci sei, puntualmente. Sei al capo dei binari, sullo sgabello accanto a me mentre divago su tutta una serie di paturnie tra l’ultima birra e quella di troppo, sei lì quando mi passi una sigaretta nel momento perfetto, quando sorridi e mi abbracci forte perchè sai che qualcuno deve tenere insieme tutti i miei pezzi, prima che cada di nuovo in terra, frantumandomi. Ci sei stato quando non potevo alzarmi dal letto, quando non volevo e quando avrei preferito la solitudine piuttosto che affrontare ancora il mondo. Ci sei da meno tempo di quanto sembri al mio cuore, ma ci sei e basta. Un abbraccio caldo, forte, un porto sicuro, in cui posso sentirmi a casa, anche quando di questa sento la nostalgia, perchè di casa sento sempre un po’ la nostalgia.
Nostalgia dell’abbraccio primigenio, del primo contatto con te che ogni volta mi accogli, mi aspetti pazientemente: attendi che io percorra la mia strada, che commetta i miei errori, che vaghi per il mondo, allungando le distanze, perchè sai fin nel profondo, che tra le pochissime certezze che questa vita ha riservato a persone come noi, io tornerò sempre da te. Che sei l’origine di tutto. La persona che il destino ha mandato per completare il mio essere, l’abbraccio primo e ultimo. La composizione ideale, l’incastro tra me e te, in quel lettino singolo, in cui ci stiamo anche larghe.
Allora mi chiedo a cosa io stia pensando davvero, a quale sia il senso di tutta questa bufera di emozioni. Alla tempesta di sabbia che mi confonde i pensieri e i ricordi. Perchè accade tutto ciò? Perchè non è possibile che sia altrimenti. Perchè fare pace con ciò che è stato è necessario affinchè tu possa abbracciare te stesso, oggi. Allora tra le mille braccia che mi hanno stretto, tra quelle che mi stringeranno, è importante tenere ben presente che le uniche con cui devo essere in armonia sono quelle attaccate al mio corpo.
Eppure la mia domanda è ancora lì, a girare e rigirare nella mia mente, saltando tra i ricordi e scivolando nel vortice delle emozioni: Perchè gli abbracci più importanti della mia vita, che in assoluto contano più di qualunque altro contatto umano, li ho ricevuti da persone che non mi hanno mai amata? Più mi arrovello su questa idea e più una risposta mi sembra impossibile da raggiungere. Dovrò aspettare che le cose accadano, decriptare i codici della vita nella speranza di poter dare un’interpretazione a questi dubbi. Trovare una risposta è pura illusione.
Spengo il phon, i capelli sono asciutti. Lo sono già da un po’. C’è un motivo se li ho tagliati.