Vorrei avere un motivo che giustificasse il ritorno di questa vecchia necessità, qualcosa da poter usare come un incipit ad effetto, le prime parole che colpiscono. La realtà dei fatti è che semplicemente ne ho bisogno, perchè non riesco a pensare o comunque a far uscire queste parole. Sto ancora cercando di ricostruire gli eventi, la successione di cattive idee che mi hanno allontanato da me stessa e che adesso mi stanno riportando tutto, un pezzetto alla volta. Per questo ecco la verità: lo faccio perchè mi serve, perchè ne ho voglia, perchè so di poterlo fare.
Ho vinto il drago. Pensavo di non essere in grado di una cosa simile, probabilmente perchè mi era mancato il coraggio di provarci, di armarmi fino ai denti, cercare di rallentare questo martellante battito del cuore che accorciava il fiato e lasciare il panico in un angolino della testa, nella scatola dove cerco sempre di nasconderlo. Non era necessario tutto questo, è vero che sono un po’ esagerata, ma in quel momento non riuscivo a capire e così ho aspettato, tanto. Ho lasciato che il tempo allontanasse da me ogni ricordo, ogni viso e ogni voce. Ma questo non è il mondo adatto per dimenticare qualcosa, qualcuno. Allora è stato necessario, dopo tanto tempo, salire sulla torre più alta del castello e lottare contro il drago.
Si trattava in fin dei conti di fare un solo passo, varcare un cancello. Quante volte nella vita si varca un cancello? Quante volte mi era capitato di passare proprio lì? Quanto lunga la stavo facendo dopo tutto? Non posso dire di non aver avuto paura, di non aver sentito il cuore in gola e i polmoni contrarsi di colpo. Ma per un passo solo si può anche trattenere il respiro, aspettare quel secondo infinito che separata il tuo corpo dalla superficie dell’acqua, quello lungo in cui non sai se ce la farai a tornare a galla ma ci provi lo stesso, a dare quell’ultimo colpo.
Come c’era da aspettarsi, alla fin fine, ho varcato il cancello. Il drago dormiva forse, non si era accorto di me, non aveva riconosciuto il mio odore. Per questo ho silenziosamente esplorato le sue viscere, quelle arterie familiari, in cui avevo speso tanti giorni lenti. Ho estratto la spada dalla sua guaina, pronta a captare il minimo movimento. Nulla. Silenzio e pace, serenità.
Sorge un dubbio: che fosse già morto? Che qualcuno fosse passato di lì poco prima di me ad uccidere il mio drago? Che potessi sorpassarlo semplicemente, ottenere la mia libertà senza dover lottare? Sarebbe stato poco dignitoso, poco onesto, ma semplice da accettare.
Ho continuato la mia caccia, c’era un solo modo per ottenere la verità: trovare il cuore, verificare che fosse ancora caldo. Era il mio piano. Così sono andata avanti, un passo alla volta, il mio battito troppo veloce per poterlo percepire. Ma i denti serrati, lo sguardo fisso in avanti.
Poi in un momento rapido, impercettibile, inafferrabile: eccolo. Il fulcro oscuro di tutto il male che volevo ardentemente distruggere, l’origine del demone. Davanti a me, dove chiunque avrebbe potuto trovarlo facilmente, sotto i riflettori della verità. Possibile? Nessuna protezione? Nessun controllo? Era necessario trovare il tranello. Pensare.
Era così facile, così immediato, eppure non riuscivo proprio a capire. Quante volte le cose più semplici conducono al dubbio dell’inganno. Nonostante la lenta preparazione per quel momento, non ero pronta ad affrontare una cosa semplice. Ero pronta per il drago, ero armata per il drago, ero arrabbiata con il drago. Come poteva essere tutto lì?
Era tutto lì. Afferrai la spada con forza, la issai sopra la testa: era pesante, forgiata da anni di rabbia, di rancore. Passò un instante immensamente denso, nel quale ogni ricordo stringeva più forte la mia unica arma e poi il colpo. Secco, preciso, dritto giù. Trapassò da parte a parte. Uno di quei colpi senza perdono e senza ritorno. Morte certa.
Al contrario di come avevo sempre sognato, quel grosso sasso nero e pulsante non sanguinò, ne guizzò o si mosse. Iniziò solo lentamente a sciogliersi, come ghiaccio putrido. Un cuore può liquefarsi? Nemmeno un cuore di drago può. Cosa avevo colpito? Cosa stava morendo?
Mi costò un grande sforzo di concentrazione raggiungere la verità, ma ora posso dire di aver capito ogni cosa, con lucida chiarezza. Non c’era nessun drago, non c’era mai stato nessun drago. Che poi diciamoci la verità, i draghi non esistono. Era solo una vecchia storia, bella da raccontare, soprattutto a me stessa. Io non avevo paura del drago, non mi ero allenata per quella battaglia. Avevo paura di avere paura di nuovo, di affrontare il mio stesso dolore, di tornare nel castello e combattere l’unico temibile nemico: il passato. Che non ha bisogno della difesa di alcun drago. Il drago lo avevo messo io lì, per spaventarmi e tenermi alla larga. Era solo una grossa bugia, una favola. Ma a volte (le volte brutte) è necessario crescere. Salire uno scalino in più, sconosciuto, ed accettare la verità, quella semplice, senza favole.
Allora cosa si stava sciogliendo davanti a me? Cosa avevo infilzato con la mia spada? Quel denso liquido scuro era ormai ovunque, macchiava ogni cosa, compresa me. Lo sentivo sulla pelle, sul viso, sui capelli: era pesante, appiccicoso e viscoso. Olio. Catrame. Sangue. Ancora qualche passo in avanti, una risposta era necessaria a quel punto. Cosa c’è dietro la paura? Cosa era nascosto al di là del drago? Era impossibile riuscire nel più minimo movimento, trascinata indietro da quella pesante armatura oleosa che non mi lasciava scampo. Per fortuna, bastò un solo passo, deciso e faticoso. Trovai l’unica cosa che non pensavo potesse esistere ancora.
Il pezzo mancante. Che non ci sono proprio le parole con cui posso spiegare, adesso, che parte di me fosse. Una parte importante. Una sezione mancante, un organo parte di un apparato che fino a quel momento macinava imperfetto. Dopo quella che sembrava la mia cronica dialisi, finalmente era lì, dove era sempre rimasto. Dove lo avevo sempre nascosto. Nascosto da chi? Da cosa? Non so trovarla questa risposta, perchè poi questo è solo lo sproloquio di una bugiarda, che ha mentito per molti anni, a cui manca la dote interpretativa. Che forse dovrebbe informarsi per un buon analista.
Quel pezzo, non grande, ma non trascurabile, fu semplice da rimettere al suo posto. Si incastrava ancora perfettamente, calzava a pennello. Come il vestito di una sposa, anche qualche anno dopo. Nonostante la polvere, era proprio quello il suo posto. L’abbraccio più caldo, avvolgente e genuino che possa ricordare, fu quello di tutto ciò che avevo lasciato indietro. E in un attimo fu tutto di nuovo con me, nel mio bagaglio del cuore. Caotico, urlava forte ciò che avevo paura di aver dimenticato, mi stordiva di felicità. Per la prima volta, dopo troppo tempo.
Poi arrivò la balena, che chiudeva tutta la storia, come un guardiano del passato. Tirò fuori un vecchio mazzo di chiavi, arrugginito e sonante. Quella balena che per anni mi era capitato di intravedere tra le onde, che ogni tanto c’era e molto più spesso rifuggiva nelle profondità dell’oceano, che in realtà era solo testimone di un viaggio errante e senza meta attraverso la tempesta del mio caos. Sentivo l’odore fresco del mare, che mi alleggeriva il cuore. Così finiscono le storie ? È la balena che si fa trovare? Alla fine di ogni battaglia, si trattava solo di aspettare che la vita facesse il suo corso, perseguire ogni stupida, folle, improbabile idea, con la consapevolezza che tutto, tutto, ti porta da qualche parte. Ogni passo sul tuo percorso influisce sulla strada che stai percorrendo, che è in salita, di cui non vedi la fine, per cui è meglio che inizi a costruirla come vuoi tu. Allora non mi pento di nulla, nè di ciò che ricordo con affetto, nè tanto meno delle cose che avrei preferito non fossero mai accadute. Perchè quel momento era assoluta perfezione. Tutto ti porta all’assoluta perfezione.
Ma bada bene a quel che dico: la perfezione è tale per due parametri che non sono trascurabili. Cenerentola ha avuto la notte della sua vita, ma era solo per una notte. Scoccata l’ora, tutto sarebbe tornato alla verità. È ingiusto? No. È perfetto. Ogni cosa perfetta è limitata: deve durare un solo istante e deve essere irripetibile. Solo così può essere perfetta. La dura verità è accettare che in una vita intera momenti del genere capitino di rado, se ne contano pochi e anche questo è essenzialmente perfetto. Perchè la strada è stata lunga, ma alla fine tu sei lì. Per vivere quell’istante. Deludente? Mai, lo scopri solo nel momento in cui ci sei dentro. Non è possibile credere alle mie parole, lo so. Ma arriverà e saprai anche tu che tutto è valso la pena, per quel solo istante di bellezza. Per accettare che alla fine la vita è troppo strana, troppo meravigliosa, che ne vale troppo la pena. La felicità non esiste proprio perchè è un istante di perfezione e dopo non ti resta che un ricordo, che sbiadisce e non sarà mai la stessa cosa. Vivere un momento non è ricordarlo. Ma tu eri lì e ricordi di esserci stato. E questo già vale la pena.
Ricordo la balena come un brivido, che è corso così rapido da non darmi il tempo di comprendere o almeno di domandare cosa stesse accadendo. Ma resta in me una sensazione inspiegabile, che non comprendo e forse non voglio nemmeno interrogarmi troppo a riguardo, finchè mi fa sorridere come sto sorridendo ora. Ma la balena ha chiuso il cancello e ora scomparirà di nuovo, probabilmente per sempre. La perfezione, in quanto tale, si è conclusa in quell’istante di esistenza. Un singolo battito d’ali di una farfalla, che come si dice genera un uragano, al centro del mio cuore, ma che poi alla fine giace senza vita ai piedi di un ricordo. E io ricordo e non smetterò mai più di ricordare. Ricordo il sapore alcolico, il profumo dolce, i capelli lunghi. Ricorderò sempre le tue mani sui miei capelli e le tue labbra. Per tutta la vita porterò con me la perfezione, balena bianca. Ricorderò per sempre l’abbraccio più lungo della mia vita, che significa solo addio. Ogni parola, per questo finale.
Ma più di ogni cosa al mondo ricorderò per sempre quell’impercettibile tremore, quello del fiato che si blocca, perchè non è possibile respirare e allo stesso tempo sentire il cuore che urla: ti ho cercato per troppo tempo e ora ti voglio e ti ho. Non è facile sommare un sorriso, una liberazione e una soddisfazione. Allora tremi, ti allontani un attimo e mi guardi. Perchè la perfezione travolge. Non è nulla di che, alla fine poteva essere un semplice bacio d’addio. Senza nulla di più. Ma resta unico ed irripetibile e per questo è assolutamente perfetto. Mia cara balena bianca, Addio e buonanotte.